DYLAN BEFORE DYLAN. THE PHOTOGRAPHY OF JOE ALPER 1961-1965
quando | 16 maggio > 21 luglio 2013 |
dove | Wall Of Sound Gallery |
Nel 50° anniversario di Blowin' In The Wind Wall of Sound Gallery è orgogliosa di presentare, per la prima volta in assoluto e in esclusiva europea, la mostra Dylan Before Dylan con le storiche fotografie inedite di Joe Alper. Come già l’anno passato per la mostra di Art Kane, editing, restauro dei negativi originali e stampa sono stati realizzati presso la nostra galleria, ad Alba, con l’attenta supervisione di Edward Elbers, manager della Joe Alper Photo Collection LLC. Da oggi queste immagini sono finalmente disponibili per i collezionisti e gli appassionati di tutto il mondo in edizioni numerate e timbrate.
Maggio 1961. Bob Dylan ha appena vent’anni e si trova a New York da quattro mesi. Dopo aver girovagato dal natio Minnesota per mezza America - Iowa, South Dakota, Kansas, North Dakota, New Mexico -, assumendo un numero imprecisato di identità (“Puoi andare ovunque quando sei qualcun altro”), comincia a farsi un nome nei locali folk del Greenwich Village, come il Gerde’s Folk City. Il Village è dagli anni Venti la mecca per qualunque bohemien, poeta, artista e spostato in cerca di libertà da convenzioni e cattive tradizioni. All’epoca è anche uno dei rari crogiuoli interrazziali d’America. Appassionato di Woody Guthrie, la grande leggenda del folk che sta morendo al Brooklyn State Hospital, Dylan esibisce un biglietto da visita con su scritto “Non sono ancora morto”, firmato WG. Ma, come direbbero i suoi amici di Minneapolis, è fermo allo stesso mistico incrocio dove si dice che trent’anni prima Robert Johnson avesse venduto l’anima al diavolo per diventare un genio della musica. Come spiegare altrimenti la sua clamorosa metamorfosi quando, nella stessa primavera, farà ritorno a casa per una breve visita, sfoggiando una vocalità sorprendente quanto una improvvisa padronanza della chitarra? La verità è che il tempo ha cancellato ogni traccia del suo passato e il futuro è solo immaginazione. “Non avevo nessun passato di cui parlare, nulla a cui tornare, nessuno su cui contare”, racconta Dylan al regista Martin Scorsese nel film No Direction Home. “Solo la musica folk riusciva a comunicarmi qualcosa che fosse in sincrono con i miei sentimenti riguardo alla vita, alla gente, alle istituzioni, alle ideologie. All’epoca tutto ciò che contava per me era imparare il maggior numero possibile di canzoni folk, ma a gran parte della gente che conoscevo pareva roba d’altri tempi, davvero giurassica. Non so perché, ma a me sembrava che quelle canzoni inchiodassero il presente meglio di qualunque altra cosa”.
In quel maggio 1961, a Branford, Connecticut, dove Dylan deve esibirsi al Montowese Hotel, c’è anche un fotografo ad aspettarlo. È Joe Alper. Trentasette anni, appassionato di jazz e folk, Alper ha già firmato una serie di importanti copertine di dischi per artisti del calibro di John Coltrane, Charlie Mingus e Pete Seeger, ma non manca di documentare e sostenere, con fervore condiviso dalla moglie Jackie, i giovani folkies emergenti che si esibiscono nei localetti della zona, come lo storico Caffe Lena di Saratoga Springs. Gli Alper sono nel giro “giusto”. Jackie lavora come segretaria del leggendario ricercatore musicale Alan Lomax e, come il marito, è amicissima di Pete Seeger, un altro mitico campione del folk e dell’impegno civile. Joe si è votato alla fotografia solo da pochi anni, per assecondare la sua passione musicale, certo, ma anche nella speranza di trovare una rapida via d’uscita dalla cronica indigenza in cui versa. Purtroppo un ben più grave problema lo affligge: la sua battaglia, appena cominciata, con un rene policistico (in inglese ADPKD) è purtroppo destinata a chiudersi tragicamente con la morte di lì a poco, nel 1968.
Alper segue spesso Dylan con la sua macchina fotografica, all’Indian Neck Festival del 1961 o più a nord, nel gennaio 1962, al Caffe Lena o al San Remo di Schenectady. Con l’occasione Dylan non mancherà di fermarsi più volte dagli Alper nella loro casa di Brandywine Avenue. Proprio per questo il valore storico di queste immagini è inestimabile, non solo perché fissano passaggi fondamentali, dai suoi primi passi fino alla rivoluzione elettrica del Newport Folk Festival del 1965, ma soprattutto perché mostrano l’artista in fieri senza formalismi né quelle maschere che va già indossando quando posa, nello stesso periodo, per altri fotografi come Barry Feinstein, David Gahr, Ted Russell o John Cohen. Colto in un’insolita quiete domestica, spesso insieme alla fidanzata Suze Rotolo (la stessa immortalata con lui da Don Hunstein sulla copertina di The Freewheelin’ Bob Dylan), o mentre gioca alle costruzioni con i figli degli Alper o canta per Pete Seeger e Rev. Gary Davis al matrimonio di Gil Turner, altra figura di spicco della scena folk del Village, è davvero un “Dylan prima di Dylan” quello che Alper cattura con grande immediatezza e semplicità. Così pure quando, nell’aprile 1962, il fotografo lo accompagna con la sua auto alla prima seduta di registrazione col leggendario produttore John Hammond per quello che diventerà The Freewheelin’ Bob Dylan, l’album che include l’immortale Blowin’ in the Wind.
Pur mai esposte prima, alcune delle immagini presenti in mostra sono già note al pubblico per essere state utilizzate dallo stesso Dylan sul disco The Witmark Demos: 1962-1964, e da Martin Scorsese per Bob Dylan. No Direction Home e per il disco della relativa colonna sonora. La mostra, che conta più di 50 immagini stampate in vari formati, dal 30x40 all’80x110, è ulteriormente impreziosita da una selezione di fotografie, altrettanto storiche e raramente viste, di grandi artisti jazz e folk come Aretha Franklin, Nina Simone, Muddy Waters, Thelonious Monk, Joan Baez con la sorella Mimi e il marito di lei Richard Farina, Pete Seeger, John Coltrane in sala d’incisione col produttore Bob Thiele, Miles Davis, Duke Ellington ed Ella Fitzgerald, Dizzy Gillespie con Quincy Jones, Ray Charles in una rara immagine che lo vede al sax, Charlie Mingus insieme a Max Roach, Howlin’ Wolf, Joe Zawinul, Mississippi John Hurt con Elizabeth Cotten, Big Joe Williams.
L’obbiettivo di Alper rende palpabile l’intensità delle loro performances e il loro magnetismo, fissandoli in una dimensione che - sia essa il palco dei primi grandi festival jazz e folk dell’epoca, oppure l’intimità sottovuoto di una sala di registrazione - risulta ancora miracolosamente a misura d’uomo. Testimonianza unica di un tempo irripetibile quando, racconta ancora Dylan, “i performer che vedevo e che volevo essere avevano una stessa cosa in comune: era nei loro sguardi e sembrava voler dire: ‘Noi sappiamo qualcosa che tu non sai’. Ecco, quello era il tipo di performer che volevo essere”.
Guido Harari, Wall Of Sound Gallery
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